9 ottobre: Vega de Valcarce
L’aria profuma di vino. Hanno appena raccolto l’uva. Sono vigne basse senza supporti e il frutto tocca quasi terra. Dicono che per questo ha un gusto speciale. Oggi mi offrono i grappoli. Sono dolcissimi.
Piove e non piove. Prendo la carrettera. Non mi sembra il caso di andare sui monti con la bufera. Per 17 km il Camino è segnato con segni gialli ed è separato dalla strada con ripari di sicurezza. La valle è stretta come la Val di Zoldo. Non ti fa vedere niente, solo marciapiede giallo e pioggia.
Certo che il Camino de Santiago de Compostela è unico al mondo. Anche per la geografia del territorio. Chi altro può allestire 900 chilometri di sentieri, rifugi, luoghi di sosta e di fede? Questo solo per il percorso francese! Comunque per me è stata un’esperienza importante che auguro a chi ha forza e pazienza.
La cosa più noiosa sono state le mosche sui Monti de Oca. Più terribili sono i “russatori”: schivi un tizio e ne trovi altri due, ma per me in fondo è l’unico sacrificio. Sto bene! Appena arrivo, doccia o bagno ai piedi, bucatino e riposo. Oggi il rifugio sembrava tranquillo, ma ora siamo quasi cinquanta e tutto cambia!
10 ottobre: Hospital
Due ore sotto vento e pioggia e poi, dopo molto affaticamento, arriva il sole e tutti i colli, che qui chiamano montagne, risplendono dei colori dell’autunno. Il giallo di una pianta spinosa contrasta con armonia col marron delle felci secche. Costiere di prati verdissimi recintati da muretti a secco: sembrano pennellate di un pittore, tipo Irlanda direbbe la Rosalina, tanto più che arriva una nuvola di sole e tutto s’illumina.
Si asciugano anche le mie cose. Il vento all’Alto Dopoio mi porta via l’ombrello. Dimentico la pila sotto il cuscino ma tutto va bene e so che non dimenticherò mai O Cebreiro! Visito una piccola chiesa col pavimento in salita e le celle mortuarie a ridosso delle pareti esterne. Osservo e vado. Faccio una foto a una donna “Annunziata”, perché ha delle strane “dambre”. Ci sono mucche dietro il filo, torelli che verranno usati nelle arene, cani che hanno fame.
Fotografo anche il cippo coi chilometri che mancano per arrivare a Santiago: sono 150. Ma non ho fretta! Perdo delle compagnie e ne ritrovo delle altre. Questa sera mangio patate con due francesi coi quali, dal principio, ogni tanto ci rivediamo.
Mi trovo in un piccolo paese rurale dove portano le mucche alla fontana e tutte le vie sono piene di “zorde”, ma nessuno dice niente. Anzi è cultural!
11 ottobre: Monastero di Samos
Tre ore di pioggia e vento. Tutta bagnata, vado. Trovo Silvia, una ragazza argentina, e ci facciamo animo. Poi esce il sole e decido di fare ancora 10 km. Arrivo al Monastero de Samos: splendida variante! La faccio anche per lasciare indietro compagnie poco tranquille.
Oggi calpesto noci e castagne. È peccato non raccoglierle, ma lo zaino pesa e passa oltre. I giovani raccolgono tutto per insaporire le insalate. Qui sembra il convento del Nome della Rosa. Fa impressione vedere la ricchezza delle chiese e la povertà delle case che ci sono all’intorno. Ora con i contributi europei possono migliorare, ma i contadini montanari sono diffidenti. Hanno molti animali di ogni genere, ma noto che anche qui sono persone di una certa età, come da noi anni ’60. E dopo?
Persone nuove questa sera nel grande e freddo dormitorio. Solo Heinz è rimasto della compagnia partita a Roncisvalle. Si trattava di fare chilometri in più. Ci sono due trentini. È la quarta volta che fanno il Camino. Io li guardo stupita. La meta si avvicina. I cippi della Compostela ce lo ricordano ogni 500 metri.
12 ottobre: Ferreiros
Pioviggina. Metto la mantella, che non avevo più usato dal mio pellegrinaggio a Roma, e vado su e giù per colli e valli. Ad un certo punto ho perso l’orientamento, ma la freccia gialla guida il pellegrino. Non ci si può sbagliare.
Oggi è festa nazionale in Spagna. Intravedo un attimo alla TV i regnanti. Nei paesini oggi c’è qualche bambino. Ne ho visto pochi in un mese di cammino. Ogni tanto qualche giocattolo abbandonato che fa tristezza.
Qui in Galizia gli uomini giovani portano il fazzoletto… stile Nonna Libera, con le orecchie scoperte e i lembi lunghi. Sarebbe anche un bel rifugio dove trovo alloggio, ma la stanza è satura di odor “de laghina”. Per forza, hanno collegato gli scarichi con la stalla! Le mucche sono anche fotografabili, ma poi… comunque è cultural!
Aspettavo con impazienza di fotografare il cippo che indica 100 km a Santiago, ma sono rimasta delusa perché è tutto scarabocchiato. Fortuna che le mie emozioni non le può rovinare nessuno!
Questa sera posso calcolare di essere a Santiago per sabato. Oggi faccio fare selli di ogni tipo. Sono uno più bello dell’altro. Saranno proprio un bel ricordo. |