Come i pellegrini d'un tempo .......,

Toni Beraudo e Anita Centeleghe
di Paderno (Belluno)


2.406 Km a piedi
da casa a Paderno in provincia di Belluno
fino a
Santiago de Compostela

o

 

 

Gli jacobei vi scrivono

PELLEGRINAGGIO A SANTIAGO DE COMPOSTELA

20 gennaio 2002 – 14 aprile 2002

oRiassumere tutto il nostro viaggio in pochi fogli è difficile ed è impossibile scegliere tra tanti ricordi e tante situazioni piacevoli.
Lo stile forse è scollegato ma ricordarsi di 82 giorni di cammino è talvolta difficile per lo spirito di un pellegrino, poiché “ricordare”, per un pellegrino, significa ritornare, vivere con il passato; il tempo perde il suo valore e la sua percezione cambia, quello che è successo 8 giorni fa appare molto più remoto.
Siamo partiti il 20 gennaio con temperature polari, tra –10° e –14°.
Il nostro parroco ci ha dato la benedizione dopo aver partecipato alla messa delle 10, accompagnata dal gruppo di flauti della scuola media di Santa Giustina. L’atmosfera era influenzata dal nostro cammino che sarebbe iniziato di lì a poco.
A casa tutto era pronto da ben 8 giorni, zaino, scarponi, itinerario ecc. Tra le ultime telefonate ricevute, i saluti e l’abbaiare del cane, l’agitazione era dominante.
Lo zaino addosso…E VIA!

Strada facendo, verso il santuario di SS. Vittore e Corona di Anzù, le persone informate dalla stampa locale ci salutavano e ci incoraggiavano per la nostra impresa. Questo ci faceva piacere ma allo stesso tempo ci stupiva questa forte curiosità per un’avventura che è personale ed alla portata di tante persone.
A S. Vittore, un gruppo di ex-pellegrini del Giubileo ci aspettava per trascorrere insieme un momento di riflessione e di preghiera, e per assistere alla Messa. Dopo la cena, ci hanno consegnato i Vincardi, il bastone del pellegrino, su cui venne riportata la frase estratta dal Gaudium et spes, P.22 n.°19:

“L’uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce quell’amore libramente e non si affida al suo Creatore”.

Questa frase ed i due bastoni ci davano l’aiuto necessario e ci conducevano verso Santiago de Compostela.
Il tracciato italiano fu seguito tappa per tappa; le uniche variazioni di rilievo furono effettuate durante una giornata di pioggia battente che ci ha fermati 10 km prima di S. Bonifacio, o a causa della mancanza di segnaletica che ci ha fatto fare qualche km in più.
Gli altri giorni sono trascorsi senza problemi e la buona preparazione dell’itinerario ci soddisfaceva pienamente. Le temperature risalirono attorno agli 0° ma 4 giorni di nebbia fitta ci hanno infastiditi poiché ci impedivano di ammirare la bellezza delle campagne che si risvegliavano; avremmo avuto però l’occasione di ritornarci e questo ci fece proseguire senza rimpianti.
Passammo quasi in silenzio in questo Nord italiano densamente popolato, pieno di paesini e di fabbriche, ma le piccole stradine che avevamo scelto ci allontanavano dal caos e dalla vita moderna, e come delle gazzelle attraversammo la Pianura Padana.
Trovavamo bello il nostro Paese e la gioia ci pervadeva più volte al giorno alla vista di un particolare architettonico, di un albero, di un ruscello, di un campanile che suonava e che ci lasciava intuire che stavamo arrivando ad un punto di ristoro.

C’erano anche gli incontri con i curiosi, con le persone interessate, con quelle devote, con gli indifferenti; tutti si fermavano un momento ad osservarci, poi ci interpellavano attirati dai nostri bastoni e dalla nostra tenuta, anonima nel bellunese ma curiosa in mezzo alla Pianura Padana, fino a diventare ridicola sulla costa ligure. Ci venivano rivolte battute tipo:

“ Avete sbagliato direzione…! Guardate, i camminatori marini, escono dal Polo Nord!”.

Siamo partiti da Paderno con –14° e in due settimane abbiamo saltato una stagione! Ma era importante la stagione che portavamo nella nostra mente e nel nostro corpo.
Tutto il nostro essere si armonizzava con quello che trovavamo lungo il cammino. Ad ogni tappa rubavamo un’immagine di quello che avevamo vissuto e man mano che camminavamo, cresceva dentro di noi questo ricordo.
Il tempo volava troppo rapidamente e l’opportunità di scrivere era rara per quanto intensa è la vita del pellegrino.

La sera sentivamo un po’ la fatica (chi l’avrebbe mai detto!) poiché, nonostante le nostre buone condizioni fisiche, le emozioni erano intense ed anche l’energia necessaria.
Eravamo rimasti alla Pianura Padana ed alla sua nebbia.
Usciti da questa nebbia a Tortona, abbandonammo questa città, che trovammo triste e abbastanza sporca. Il nostro albergo era a 3 km oltre la tappa stabilita nella periferia Ovest, quindi ci trovammo con un vantaggio per il giorno successivo. In questa zona si vedono da lontano gli Appennini, ma resta una terra di mezzo, di passaggio.
Il Passo Turchino, primo piccolo passo da valicare sotto un cielo coperto e minaccioso ma fortunatamente senza neve, fu superato senza grande fatica, a parte il fastidio provocato dalle spalline dello zaino che dovevano ancora trovare la loro corretta sistemazione sulle spalle; inoltre, la ripida discesa ci faceva sentire la frenata nelle gambe in modo intenso, accentuata dagli 11/12 Kg di zaino.

Ma all’arrivo a Varazze, alla vista del Mediterraneo, ci siamo sentiti felici e soddisfatti di vedere un altro mare… il nostro sguardo e il nostro fisico erano abituati alla terra ferma e ora vedere una distesa d’acqua così grande ci dava la sensazione di trovarci in un altro mondo.
La Liguria ci offrì dei bei momenti tra le vecchie strade ferrate trasformate in passeggiate per pedoni. Abbiamo camminato senza incontrare veicoli in luoghi ricchi di vegetazione, su terreni sabbiosi.
A Savona ci fu il diluvio, ma per fortuna arrivammo dopo poco a Quiliano, dalla zia Maria, la sorella di mio nonno. Qui ci riposammo per 24 ore, il tempo di fare asciugare scarponi e zaini e di riprenderci psicologicamente dopo questa “lavata”. Abbiamo pregato e sperato che questo tipo di temporale, che ci aveva fatto vivere un’esperienza così inquietante, non ci sorprendesse più lungo il nostro cammino.

Il Signore ci aveva ascoltati e nei giorni successivi ci mandò pioggia, vento, neve, ma molto più sopportabili, o almeno ci diede la forza per superare le intemperie.
Sempre in Liguria, abbiamo dormito dall’altra zia, distante da zia Maria 25 Km . Qui passammo il nostro primo giorno di riposo (la famiglia ogni tanto serve…!).
Camminavamo bene, ma non si può certo dire che al mare c’è pianura dappertutto! I saliscendi delle colline marittime ci causarono le prime vesciche ai piedi, ma un bellunese non torna indietro per una vescica!
Là ci siamo accorti che il mare era un tavolo da biliardo, ma che l’Aurelia vecchia sale e scende secondo i suoi capricci.

Dopo sette giorni di cammino la risacca delle onde faceva parte di noi e le nostre preghiere avevano il ritmo di questo mare che ci incantava ogni mattina.
Senza rendercene conto siamo stati trasportati a Menton nel pieno del Carnevale alla festa del limone. Dopo 32 Km dovevamo trovare un alloggio, molto difficile nel pieno del Carnevale, per i turisti e per i prezzi, raddoppiati e a volte triplicati. La risposta degli operatori era sempre la stessa: “tornate fra qualche giorno quando la festa sarà finita e i prezzi scenderanno”.
Il nostro primo contatto con i francesi fu quindi un po’ freddo, ma in seguito tutto proseguì normalmente e senza rimorsi.

La Costa Azzurra ha d’azzurro solo il nome, poiché l’aria che si respira è inquinata, soprattutto per noi che veniamo dalla montagna. La Liguria è più salubre perché non c’è traffico accanto al mare.
Dopo 11 anni in Italia, ritrovarmi nuovamente immersa nella musica e nel linguaggio che mi sono stati familiari per più di 30 anni mi sembrò strano, ed ebbi l’impressione che gli avvenimenti si fossero fermati al momento della mia partenza dal Belgio. Ho concluso che ho fatto bene a partire e che ho staccato velocemente dalla mia vecchia vita. La Fede mi ha portata là dove dovevo andare e per un momento mi ha riportata al passato; ora mi dà la gioia di vivere con convinzione il presente e questa avventura sulla strada.

Dopo 2 settimane, attraversare una grossa città ci fece una strana impressione e per due lumache come noi ciò era terribile. Era una prova fisica penosa… passare gallerie, affrontare incroci, attraversare strade per raggiungere il lungomare nella speranza di respirare un po’. Non era meglio là. Cosa fanno tutte queste persone lì in vacanza? Esiste la parola vacanza nella loro testa? Correre in spiaggia, correre in albergo, stressati e indaffarati… sempre in movimento frenetico… 22 giorni di lento cammino ed eravamo già spaesati… cosa sarà di noi fra tre mesi?

Piccolo particolare, il mio orologio si ruppe, avrei dovuto vivere con la meridiana e il sole ci avrebbe guidati! Si viveva già un po’ così da tre settimane, ci si fermava quando sentivamo un po’ la stanchezza, la sete e la fame e quando il sole cominciava a tramontare cercavamo un alloggio. L’organismo ritornava così al suo bioritmo naturale. A Menton decidemmo di prendere il sentiero dei corbusiers arroccato tra mare e cielo fino a Montecarlo, in mezzo a pinete profumate, rocce rosa e mare verde, sentendo solo la risacca delle onde per parecchie ore. Ma questo sentiero che doveva essere piacevole e rilassante fu per noi una tortura. Qual è il genio che ha cementato quel percorso con gradini e panchine ad ogni chilometro? Il sentiero è fatto per passeggiate e non per camminatori. Con 12 Kg sulla schiena, 28° in febbraio, assomigliavamo di più a due schiavi egiziani che portavano le pietre per costruire le piramidi!

I giorni seguenti furono uguali fino a Cagne-sur-mer dove due amici del Belgio, Dominique e Jos, avevano affittato un appartamento e ci aspettavano per fare con noi una tappa. Con loro, camminatori esperti, modificammo il nostro itinerario per lasciare la costa “impossibile” e per raggiungere Arles, attraversando le Alpi Marittime, le montagne del Luberon e le sue meraviglie, ritrovando così la tranquillità del pellegrino immerso nella natura.

Cominciammo a prendere contatto telefonico con un ex pellegrino di San Giacomo per innescare la catena dell’alloggio, come era stato stabilito. L’ex pellegrino ci avrebbe trovato un alloggio in base alla disponibilità locale, presso un monastero, un convento, un albergo o una casa privata. Con l’aiuto del pellegrino si ottenevano alloggi a prezzi inferiori, ma la qualità, soprattutto in Francia, lasciava molto a desiderare. Comunque questo meccanismo per noi era troppo complesso perché ci rendeva dipendenti da una persona e da un mezzo per raggiungere l’alloggio, che spesso si trovava molto lontano dal cammino stabilito. Il nostro principio era di fare tutto a piedi. Siamo stati “intrappolati” 2 volte, dopodiché riprendemmo il nostro sistema iniziale organizzandoci sempre da soli e in modo da arrivare presso un albergo o una pensione lungo il nostro percorso. Se non si trovava niente si proseguiva. Abbiamo “scelto” (scegliere è un lusso per un pellegrino) degli alloggi semplici ma puliti lungo il tratto francese; si sono alternati campeggi, conventi, monasteri, camere private, alberghi per dormire in pace.

La traversata della Francia è stata una meraviglia di paesaggi vari e sorprendenti, a volte nel cuore della garigue (tipo paesaggi carsici), a volte tra le vecchie vie romane dove era piacevole scivolare sulle scia lasciate dai carri dei nostri antenati, a volte nelle foreste di querce centenarie o tra pascoli pieni di bestiame. Nonostante l’alternanza di asfalto e sterrati, non abbiamo mai avuto dolori muscolari. Al contrario, questo era un buon terreno per prepararci ad ogni tipo di sforzo. La strada asfaltata ci permetteva di mantenere più pulite le nostre tenute, soprattutto nei giorni di pioggia.

Da Montpellier decidemmo di cambiare il nostro itinerario e di prendere una strada più pianeggiante verso Carcassonne-Canal du Midi per guadagnare del tempo, anche perché il sentiero GR 653 (cammino francese) era segnalato male.
Certamente col nostro spirito cartesiano era molto difficile essere soddisfatti da spiegazioni date a caso dagli “indigeni”. Ci siamo persi due volte ma per fortuna il sole ci ha guidati e riportati sulla via giusta.
I giorni volavano tra il sole, la pioggia, il vento e la neve. I nostri corpi erano in armonia con le intemperie ed i piedi con i vari terreni, rocce, pietre, asfalto e terra.
Avvertivamo la sensazione della distanza quando telefonavamo a casa, quando mia mamma parlava di ieri o di qualche giorno fa con un’altra percezione rispetto alla nostra.
Mai una volta abbiamo pensato di fermarci, era troppo inebriante andare sempre avanti, passare delle intere giornate da soli nella natura, senza rumori d’auto, senza la vista di una linea elettrica, camminare…camminare regolarmente, cadenzare la nostra vita al ritmo dei passi lenti e sicuri. Dopo 6/8 ore di marcia, quando la stanchezza ci pervadeva dolcemente, era bello vedere l’ultima salita che si stagliava davanti a noi e che ci faceva sudare; in cima ad essa, come per magia, usciva dalla terra come un fungo il villaggio che ci avrebbe permesso di sostare e di bere acqua fresca dalle numerose fontane. La vita in quei luoghi riprendeva, i camini fumavano, qualche persona giocava alla pétanque, alcuni pastis attendevano su un tavolino di ferro sotto un platano mezzo nudo (siamo ancora in inverno!) ed il calore esterno aspettava di entrare nelle case di pietra. Il nostro cammino d’Arles ci portò sui contrafforti dei Pirenei ed eccoci a Lourdes, dove ci aspettava una sosta di 36 ore per rinvigorirci.

Il giorno del nostro arrivo ci occupammo del materiale: lavanderia, calzolaio, posta, pacchi di 2 kg di indumenti e di cartine usate da rinviare a casa. Eravamo ai primi di marzo, le temperature erano più alte e decidemmo di tenere solo pochi abiti caldi necessari ad affrontare il Passo di Roncisvalle e le altre montagne in Spagna. La neve era vicina, molto vicina, ed anche il Tourmalet!
Il giorno successivo al nostro arrivo a Lourdes lo consacrammo alla visita della basilica, alla preghiera e a tutte le intenzioni raccolte durante il cammino e prima della partenza. Il nostro viaggio proseguì con una pace interiore ancora più intensa, pensando che se non fossimo riusciti ad arrivare a Santiago (la strada era ancora lunga, più di 1000km), eravamo arrivati a Lourdes.

Attraversammo il superbo Paese Basco francese, in cui ci sono deliziosi prodotti regionali. Qui il paesaggio ci era molto più familiare, ritrovare le montagne ci incoraggiava. Partecipammo alla messa in lingua basca e i canti gioiosi ci misero allegria. Il basco è gradevole da leggere e da ascoltare. Nei pascoli, le mandrie di mucche e di cavalli ed i greggi non mancavano.

Qui l’accoglienza riservata ai pellegrini è calorosa. Feci immediatamente un salto nella mia infanzia, quando vedevo le strade e le piazze pubbliche occupate da panchine di legno lungo il tracciato bianco del gioco della balle pelote. Mi venne in mente anche quando ricevetti un gioco chiamato Jokari, termine ritrovato qui dopo 40 anni. La balle pelote qui si chiama pelote basque ed è lo sport regionale. Ogni villaggio ha il suo muro di oltre 10 metri che dà sulla piazza. I giocatori sono tutti vestiti di bianco ed il colore della cintura permette di riconoscere le diverse squadre. Hanno una racchetta di legno ed una pallina semirigida che rimbalza sul muro. Qui la maggior parte della gente indossa il berretto blu tipico ed è bello vedere tutti questi incantevoli colori in un paesaggio da cartolina, il quale ci ha accompagnati fino a St. Jean-Pied-de Port, ultima tappa francese.

Il terzo capitolo del nostro camino stava per iniziare.
Attraversammo i Pirenei fino al rifugio di Roncisvalle. I primi giorni ci sentivamo un po’ smarriti nel vedere i pellegrini che arrivavano da tanti punti. Ci adattammo a quest’altra “era”. Essere soli per due mesi ed improvvisamente ritrovarsi con altre 15/20 persone cambiava il nostro modo di vivere. Durante il giorno però eravamo soli, poche persone camminavano al nostro ritmo: i 1600 km percorsi hanno lasciato il segno nelle nostre gambe! Incontrammo così dei pellegrini “novelli”, ancora freschi potrei dire, dei pellegrini che profumavano ancora di detersivo, con i capelli ben tagliati, la pelle bianca ed i chili del benessere attorno alle chiappe, con zaini da 15/20 kg, scarponi nuovi e tanta energia da poter consumare ridendo, scherzando, chiacchierando. Pellegrini di tutte le età, di ogni condizione fisica e sociale, gente cosciente, preparata o caduta lì per caso, alcuni rompiscatole altri mistici, devoti ed alla ricerca di tutto e di niente. Ognuno è sul camino sia per una performance fisica che per una ricerca interiore o per avvicinarsi alla fede, per un motivo religioso o spirituale o alla ricerca di un equilibrio tra tutti questi motivi.

Prima di concludere il nostro cammino, possiamo dire che non è sufficiente scegliere uno di questi fattori per camminare poiché tutti si integrano: senza sforzo fisico non si va avanti, senza fede il fisico soffre e senza il corpo non si può trasportare la propria fede sulla terra. Il pellegrino non ha età, cammina con il suo ritmo, 15, 20 o 30 km al giorno. C’è chi parte solo e poi si ritrova in gruppo, chi parte in compagnia e si ritrova solo.
La Spagna, meravigliosa, selvaggia, quasi barbarica, ci fece tornare non solo al secolo scorso ma addirittura al Medioevo. El Camino era là, presente, ci aspettava e ci colmava, lasciandoci realizzare le nostre speranze ed i nostri desideri. Sul camino non eravamo mai soli. Il Signore era presente, ci mandava lo Spirito Santo che ci sosteneva quotidianamente attraverso la salute, la forza, la volontà, lo sforzo, la sofferenza, il tempo, la Fede.

Per 25 tappe del camino, si arrivava ogni giorno nell’albergue o nel rifugio dove l’hospitalero ci accoglieva e ci chiedeva le nostre credenziali, cioè il passaporto del pellegrino senza il quale non si può alloggiare in questi alberghi. L’hospitalero metteva il timbro e la data sul passaporto dopodiché si poteva scegliere, o ci veniva assegnata, la propria branda.
Nell’albergo si può dormire una notte sola e senza prenotare. Nei vecchi rifugi le camerate sono da 20 posti con letti a castello, in quelli più recenti le camere sono da 4 o 6 letti, ad alcova. In fondo al corridoio ci sono le docce ed i bagni. La lavanderia generalmente si trova nel cortile con lo stendibiancheria e qualche rara molletta (conviene avere la scorta nello zaino). L’aria fredda e gli spifferi entrano dappertutto ma l’acqua della doccia, pur essendo misurata, è bella calda. Nel rifugio c’è anche un angolo cucina con l’attrezzatura ed il cibo di base. Mancano invece le bacinelle, occupate perennemente per i pediluvi dei poveri pellegrini. Mano a mano che si proseguiva nel camino, le bacinelle riapparivano: o i piedi guarivano, o i pellegrini sparivano! Alcuni infatti decidono di fare delle tappe in autobus perché 800 km continui di sentiero, in inverno, sono abbastanza duri. La prima parte del tragitto è massacrante per i piedi, la chiamano infatti “spaccagambe”!

Più ci si addentrava nel camino, meglio si capiva lo spirito spagnolo. Gente severa, rigorosa e seria, trattenuta nella sua espressione come il cammino che seguiamo. È un Paese che si sviluppa e si libera con prudenza dopo 40 anni di regime franchista. Questo vale per l’interno del Paese, così diverso dalla costa e dai grossi centri che indossano la maschera del turismo.
El Camino è anche un passaggio per il pellegrinaggio intatto da 1000 anni ed i borghi attraversati si sono fermati anch’essi a 10 secoli fa. I contadini vivono ancora insieme agli animali, le case sono in legno, paglia, argilla e sassi; certe case sono costruite sotto terra.

Quando si arrivava in un grosso centro (20 abitazioni!), ci si approvvigionava oppure approfittavamo dei venditori ambulanti. I locali in cui si vende la merce erano plurifunzionali: fungevano anche da bar e ristorante. Poiché gli spagnoli aprivano i negozi alle nove e mezzo del mattino, tardi per il pellegrino, mangiavamo il nostro boccadillo con queso (panino al formaggio) seduti su una panchina. Ci sembrava quasi di poter pagare con gli scudi invece che con l’euro, dato che i prezzi erano veramente bassi!

Non tutti i rifugi erano attrezzati con la cucina; in quel caso, consumavamo il pasto della sera in un bar o in un ristorante. Alle volte era l’hospitalero che cucinava oppure i pellegrini cercavano di organizzarsi in qualche modo.

Il menù del pellegrino non è costoso ma nemmeno abbondante, cosa inopportuna perché lo stomaco dopo 8 ore di marcia è vuoto. Il menù è quasi uguale su tutto il percorso, va da 6 a 7euro a persona, è composto da un primo piatto, verdure, da un secondo (carne, pesce o uova con patatine fritte) e da un dessert, gelato, yogurt o frutta. Pane e vino tinto a volontà. È possibile uscire dal menù del pellegrino e scegliere il menù del giorno, ma naturalmente costa di più. Il nostro non era sicuramente un pellegrinaggio gastronomico, ma le quantità erano troppo limitate, forse per non appesantire il pellegrino…

In Galizia le quantità di cibo raddoppiarono ed i prezzi erano addirittura più bassi. Se durante il giorno no trovavamo nessun punto di ristoro, ci si accontentava di mangiare pane e formaggio.
Dopo Lourdes non incontrammo più né città né supermercati (tutti comunque ben lontani dalla nostra concezione di supermercato). A confronto, Paderno (BL) è un signor paese! Toni ed io eravamo a nostro agio. Non eravamo stupiti di tale realtà perché entrambi abbiamo conosciuto questa povertà e semplicità. Quelli che provenivano dalla città e le persone più giovani si sentivano smarriti davanti a una tale semplicità di vita.
Stavamo camminando ormai da 2 mesi, in una situazione di impoverimento materiale e di semplicità interiore ma con felicità, senza sofferenza e senza sentire il bisogno di cose superflue.
Diventai sensibile agli odori artificiali. Una mattina a Burgos fui in grado di seguire la scia lasciata dal dopobarba di un uomo, mi girava la testa…per il profumo, non per l’uomo! Da 2 mesi e mezzo indossavamo gli stessi indumenti, le stesse tinte, lo zaino faceva parte del nostro corpo, ci dimenticavamo di averlo addosso. Esistevano altri colori, altri oggetti, altri sapori, ma tutto questo non ci interessava, soprattutto non davamo più lo stesso valore alle cose; tutto passa, anche noi siamo di passaggio da più di due mesi…e per tutta la vita.
Sarebbe stato difficile riprendere la vita di prima a Paderno, ma perché riprendere? No, decidemmo di prendere un’altra strada, semplice come prima ma da un altro punto di vista. Ho paura di urtare contro il mondo che mi circonda.

Toni ed io desideriamo continuare questo camino. Abbiamo incontrato pellegrini, abbiamo camminato insieme, li abbiamo superati e siamo stati a nostra volta superati da altri, come le cose della vita.

Più ci si avvicinava a Santiago, più cresceva il vuoto attorno a noi, rimanevano quelli che volevano arrivare in fondo. Anche gli alberghi di pellegrini si svuotavano. Alla fine, durante l’ultima salita, quando da lontano si intravide la forma dei campanili della cattedrale, svanì tutta la stanchezza.

Arrivò così l’entrata nella città, seguendo le frecce gialle e la conchiglia che conducono ai piedi del gigantesco monumento di San Giacomo. L’ultimo sforzo fu salire la scalinata per poter entrare nella cattedrale, molto sobria, e per poter sovrapporre la nostra mano all’impronta sul pilastro e battere per tre volte la fronte contro quella di San Giacomo, ringraziandolo e chiedendo le intenzioni del pellegrino. Poi si va all’altare ad abbracciare il busto del Santo, come vuole la tradizione. Prima della messa del pellegrino di mezzogiorno, i preti nominano la nazionalità e la città di partenza dei pellegrini giunti fino lì. Nel breve tempo di una messa ci si accorge che il mondo intero si è riunito.

Prima di partecipare alla messa, ritirammo la nostra “compostela”, il certificato che si riceve dopo la presentazione delle credenziali, il quale attesta il tragitto percorso ed il chilometraggio. Il prete celebrante può dunque conoscere la lista di coloro che sono arrivati al santuario e citare i pellegrini.
Dopo una bella messa (durante la quale assistemmo ad un’usanza, ripetuta diverse volte all’anno, in cui un turibolo di 80 kg viene fatto oscillare quasi fino alle volte della chiesa, a più di 30 metri di altezza) lasciammo quei luoghi per visitare, meno emozionati, il capolavoro. I pellegrini si dissipavano nella città alla ricerca di un letto migliore, o dell’orario dell’aereo, del treno o dell’autobus per il ritorno. Ma poiché noi avremmo continuato, andammo al seminario minore, dove dormimmo, per partire l’indomani e riprendere così i tre giorni di marcia che ci separavano dall’oceano Atlantico. Questi tre giorni erano un po’ desueti ma necessari per completare il viaggio.

Furono difficili questi tre giorni nella foresta di eucalipti e quando arrivammo all’ultimo altopiano a 200m sul livello del mare, ci fu in noi la speranza di vederlo questo oceano…ma niente, altre colline lilla e gialle di erica e di ginestre coprivano l’orizzonte. Alla fine, a 10 km dalla riva, durante l’ultima salita, apparve in fondo uno specchio argentato, “la baia, l’oceano” e fu quasi al galoppo che raggiungemmo la sabbia per bagnarci le mani e per vedere l’ultima conchiglia, con la testa verso il basso…e là, El Camino finisce.
Toni ed io abbiamo appoggiato gli zaini e respirato profondamente, entrambi immobili, davanti questa immensa tovaglia grigia, abbiamo sognato una nave… immaginaria. Per alcuni il viaggio termina qui, il viaggio sulla terra, per altri comincia: il viaggio per mare.
Avevamo voglia di attraversare l’oceano, ancora tre mesi, per trovare un’altra terra e poi un altro mare e continuare così, di tre mesi in tre mesi, all’infinito.
Erano le sei di sera, il sole arancione tramontava dolcemente. Riprendemmo gli zaini per ripartire verso l’ultimo rifugio a 4km. Arrivammo al porto, c’era una nave, forse l’indomani l’avremmo presa, o forse un’altra volta… Ma già una cosa importante nasceva dentro di noi ... un altro cammino si preparava, quello del rientro, quello che non dovrà finire, quello di tutti i giorni, arricchito dallo Spirito di Santiago.

 

o INFORMAZIONI SUPPLEMENTARI o

Di seguito vengono riportate delle informazioni supplementari per capire meglio l’atmosfera degli 82 giorni di pellegrinaggio.

koLa conchiglia: Quando parlo della conchiglia, mi riferisco alla conchiglia di San Giacomo che serve come indicazione sul camino; la sua inclinazione indica la direzione da prendere. Questa conchiglia è gialla su uno sfondo blu, o scolpita nella pietra; la si trova già in Francia sul cammino di Arles.

La giornata tipo:La giornata dei pellegrini Beraudo-Centeleghe e di qualche altro incontrato lungo il cammino spagnolo si svolge nel modo seguente.

ITALIA-inverno: Sveglia alle 7, partenza alle 8, colazione in qualche bar aperto dalle 6. Ci sono dei bar in tutti i luoghi, anche nei posti più sperduti. Si marcia, si visita, si ammira, si prega. Verso le 15/15.30, fine della tappa, alloggio in un hotel, poi doccia, relax, massaggi reciproci, bucato, cena e verso le 20.30 a dormire.

FRANCIA-inverno, un mese più tardi: Sveglia alle 6.45, partenza alle 7.30, colazione in un bar dopo aver comperato il pane in un panificio aperto dalle 5.30. Ci sono dei bar ogni 5km circa. Pranzo con il nostro pane (cosa normale in Francia); si cammina, si visita, si ammira, si prega, si incontrano ex-pellegrini. Verso le 16.30 ricerca di un alloggio, sia albergo, camere in affitto, camping, monasteri, conventi. Doccia, relax, diminuiscono i massaggi poiché il corpo à indurito, bucato, cena e a letto verso le 21.30/22.

SPAGNA-fine inverno, inizio primavera: Sveglia alle 6 con una torcia per non svegliare la camerata. Partenza alle 6.45, colazione quando è possibile con il pane secco della sera o con un bocadillo verso le 10 quando si trova una bottega. Camminiamo, pensiamo, meditiamo, visitiamo, ammiriamo, preghiamo. L’arrivo è verso le 15.30 in un albergue per pellegrini; si sceglie un letto e lo si occupa con il sacco a pelo, doccia, cura dei piedi se necessario, bucato, riposo, cena, incontri e a dormire verso le 22. Dopo il passaggio all’orario legale, partenza e arrivo sono posticipati di un’ora.

Alloggi:

ITALIA: albergo, dunque comodità e un buon riposo.

FRANCIA: alcune volte in albergo, non molto puliti, roulotte, conventi, camere private, si riposa bene a seconda dei luoghi.

- SPAGNA: albergue de peregrinos: i primi giorni un po’ disturbati per la presenza di altri pellegrini (camere comuni) poi si riposa bene a causa delle giornate faticose.

  • A) Albergue:alcuni sono privati, l’edificio appartiene ad un proprietario convenzionato con l’associazione del camino e mette a disposizione questa casa in cui ci sono dei letti a castello; a volte si tratta semplicemente di un grande garage o di un vecchio locale pubblico. C’è un angolo cucina, un lavandino (con acqua fredda), delle docce (l’acqua calda è misurata), WC. Prezzo per la notte: da 3 a 6euro per persona.
  • B) Alberguei parrocchiali: più rustici, sono delle vecchie scuole, case parrocchiali; l’accoglienza è calorosa e, su richiesta del pellegrino, colazione con caffè, tè, biscotti a 1,5euro. Non c’è un prezzo fisso e si offre quello che si vuole nella cassa donativo.
  • C) Albergue o rifugio municipale:stessa cosa che per i parrocchiali ma non c’è la stessa accoglienza dappertutto; colazione verso le 8 con donativo (offerta); a volte risveglio musicale con i canti gregoriani. Prezzo: offerta libera.

Orari degli albergue: l’apertura può essere alle 12, 16, 17 o anche alle 18. L’hospitalero accoglie i suoi pellegrini, alcune volte è necessario cercare la chiave nel luogo indicato nel pueblo[1]. Chiusura alle 22 (si può uscire ma non rientrare). Nei più importanti centri in cui si concentra il maggior numero di pellegrini, le regole sono severe: è vietato entrare nelle camere e nelle docce con gli scarponi, il coprifuoco è alle 21.30. Alle 7 del mattino viene illuminata la camera augurando il buongiorno e per le 8.30/9 tutti i pellegrini devono aver lasciato il rifugio.

In questo periodo dell’anno (marzo aprile) i pellegrini sono meno numerosi e di conseguenza gli hospitaleros sono meno severi. L’osservanza del regolamento è più stretta da maggio ad agosto: vacanzieri e pellegrini si confondono.

Abbiamo conosciuto la settimana santa, una settimana più animata, ciò significa che si incontravano 8/10 pellegrini al giorno.

La parte più difficile è organizzare la serata. In Spagna la vita comincia verso le 10/10.30, la messa è a mezzogiorno la domenica. Per un pellegrino, arrivare in un pueblo e assistere alla messa è molto difficile.La sera non bisogna arrivare troppo tardi al rifugio affinché si possa lavare gli indumenti e appenderli fuori, poiché all’interno non si asciugherebbero per la mancanza di riscaldamento. Bisogna farsi la doccia e andare alla ricerca di quello che ci serve per ristorarci. I ristoranti, o piuttosto un locale, aprono le porte verso le 20.30/21. L’albergo chiude le porte alle 22 e la messa della sera è tra le 20 e le 21! Bisogna dunque conciliare tutto per restare praticanti e mangiare, per scegliere se sfamare il corpo o lo spirito!
Tutto questo scandito dall’arrivo di altri pellegrini (conosciuti il giorno stesso o tre giorni prima), da dialoghi, dallo scambio di impressioni sulla giornata, da aneddoti comici e da tanto buon umore.
Ci sarebbero centinaia di bei ricordi da raccontare ma tutto questo tornerà un po’ alla volta guardando l’album delle foto.

Alcuni ricordi ed alcune immagini sono profondamente ancorati nella nostra memoria e nel nostro cuore, non sono difficili da esprimere ma da non “buoni cristiani” le conserviamo gelosamente, come questa meravigliosa complicità che si è rafforzata all’interno della nostra coppia.
Abbiamo vissuto tre mesi senza mai perderci di vista un istante, a parte durante i 5 minuti necessari per la doccia, e nemmeno per un solo momento uno ha sentito il peso della presenza costante della sua dolce metà.

È stato meraviglioso, unico, emozionante.

Vorrei essere sul camino ma la vita quotidiana mi riporta sulla carretera.
Ringrazio Dio per averci dato questa idea di percorrere per tre mesi i sentieri e le vie che ha creato.
Grazie anche alle persone che mi sono state vicine e che si sono organizzate per permetterci di partire.
È anch’essa una forma di pellegrinaggio.
Spero che il mio spirito ritorni spesso sul camino per sognare e riflettere serenamente e, come dice Toni, invecchiando avremo sempre dei ricordi da raccontarci e molte cose da richiamare alla mente.

Per completare correttamente questo racconto, ecco qualche ulteriore informazione.

Contenuto dello zaino: 11 e 12kg
Sacco a pelo, farmacia, sapone, pettine, dentifricio, deodorante, shampoo, corda, mollette da bucato, prodotti per il bucato, asciugamano, un cambio completo di biancheria intima, un cambio completo di abbigliamento da “sera”= training foulard, pantalone kw, giacca in goretex, cappellino con visiera, guanti, gilet senza maniche, pantalone leggero di riserva, un paio di scarponi, borraccia da 1 litro, pane, formaggio, 2 mele, una macchina fotografica e kit per scrivere.

  • Tenuta per camminare: pantaloni, camicia e indumenti intimi in microfibra, giacca a vento in powertex.
  • Tragitto: 82 giorni di cammino + 3 giorni di riposo = 85 giorni di viaggio (2406 km).
  • Media giornaliera: 29,2 km
  • Durata giornaliera: da 7 a 9 ore, compresa la sosta.
  • Mattino: 5km all’ora
  • Pomeriggio: 3 o 4km all’ora in base al terreno

Cammini praticati:

  • ITALIA: esclusivamente asfaltati
  • FRANCIA: asfaltati e terra (sentieri)
  • SPAGNA: sentieri di sassi e di pietre

Molte montagne, in Francia alcuni giorni di cammino in pianura. Bisogna sottolineare che la Spagna è il secondo Paese montagnoso dopo la Svizzera.
In media, abbiamo camminato ad un’altitudine di 800-900m slm. In Spagna, bisogna arrivare a 15 km dall’oceano per scendere molto rapidamente verso i 100-200 m.

Meteo:

  • 2 giorni di pioggia (diluvio) in Italia
  • 3 giorni e ½ di pioggia i Francia
  • 1 giorno di pioggia in Spagna (Galizia)
  • 3 giorni di mistral (+ di 100km orari) in Francia
  • 1 giorno di mistral in Spagna
  • 3 volte neve in montagna in Spagna
  • ...... poi sempre sole…e questo ci ha aiutati.

Dolori: nulla.

Fatica: un po’ all’inizio ma in seguito fatica dovuta soprattutto alla variazione del clima più che alla marcia in se stessa.

Pochissimi pellegrini partono da casa a piedi. Alcune persone compiono il pellegrinaggio in 2 o 3 anni, in base alla durata delle loro vacanze, dividono il cammino in vari tratti. Per ricevere la compostela bisogna percorrere gli ultimi 100km a piedi.

Ritorno:
da Santiago de Compostela ci sono varie possibilità per ritornare a casa:

  • 1. treno (percorso lungo con molti cambi)
  • 2. aereo
  • 3. pullman

Ogni giorno parte un pullman alle 8 per Marsiglia e Zurigo.

Noi abbiamo preso il pullman verso Zurigo. Si parte ad una velocità folle di 40 km/h, 10 volte più rapidamente rispetto alla nostra marcia, la testa mi girava e mi sono chiesta: “dove ha preso la patente, questo autista?”.
Dopo 22 ore arriviamo a Nimes, prendiamo un treno per Orange, poi un autobus per Vaison-la-Romaine dove degli amici ci aspettano.
Dopo alcuni giorni in Provenza, ripartiamo in treno verso la Liguria ed il 24 aprile 2002 rientriamo a Paderno.
Alla stazione di Sedico, alle 18.52, veniamo accolti dalla mamma e da alcuni amici, un po’ di festa dopo 3 mesi di assenza.

Domani, un altro giorno, sempre che la festa continui…

  • Partenza da Paderno (BL): 20 gennaio 2002
    Arrivo a Compostela: 10 aprile 2002;
    partenza per Finisterre: 12 aprile 2002,
    arrivo a Finisterre: 14 aprile 2002
    Ritorno a Paderno: 24 aprile 2002

Seguito… il cammino continua

Potremmo dire che il tempo è trascorso quasi in modo “atemporale”, lasciando spazio alle nostre meditazione e riflessioni.
Dal nostro ritorno ci chiediamo ”cosa si è mosso? Cos’è cambiato?”.
Tante cose, ma soprattutto noi siamo diversi e trasformati. Non passa un giorno senza che il nostro spirito ritorni sul “Camino” e che noi siamo chiamati a confrontare i passi di ieri con quelli di oggi. La forza e l’energia ricevute sono una fonte di conforto quotidiano.
Spesso siamo stati chiamati a portare la testimonianza della nostra esperienza di vita sul Cammino di S. Giacomo. Ogni volta ne siamo usciti rinvigoriti. Quante domande ci sono state poste… con fede, curiosità, invidia. Quello che ci auguriamo è che le nostre risposte siano state stimolanti e infondano la voglia di partire, che facciano nascere il desiderio di camminare e poi di camminare insieme. L’immaginazione vagabonda viaggia spesso sulla nostra condizione fisica: “avete sofferto?” Perché un pellegrinaggio dovrebbe essere una sofferenza? È al contrario una gioia, un piacere che si scopre prima, durante e dopo.
Siamo arrivati al termnie del nostro pellegrinaggio il 14 aprile 2002 sulle rive dell’Oceano Atlantico. Là, fermi, in silenzio, abbiamo avuto la sensazione di perdere qualcosa, era impossibile andare più lontano. Avevamo perso la libertà di andare, fisicamente tutto era consumato. Questo corpo che ci ha trasportati terminava il suo sforzo al limite della terra, ma il nostro spirito che ha camminato con noi e che ci ha preceduto fino all’oceano non ha trovato questo limite, ha preso il volo ed ha proseguito il suo cammino là dove siamo e dove andiamo.

Ogni giorno qualche dettaglio ci riporta con gioia sul “Camino” e la carica di energia ci dà pace nella ripresa di un ritmo di vita quotidiano che ci accerchia e ci soffoca. Questo cerchio che ci mette di fronte a una gran quantità di cose, che chiamano altre cose e che ci fa credere che la felicità è possedere, riempire gli armadi, i cassetti, avere sete di ideali materiali e difficilmente accessibili, di cose commerciali. Si libera allora da questo imballaggio una società lavata, triste e fuori uso dove ognuno spera di ricevere il massimo dando il minimo. E noi non vogliamo entrare in questo circolo… ma è difficile…

Durante il pellegrinaggio ci siamo accorti che c’erano pochi legami tra il “Camino” e la Fede. Eppure dovrebbero vivere in simbiosi. Il pellegrino ha alla sua portata poche messe, cappelle, preghiere, religiosi. Credevamo di trovare più spesso delle chiese aperte o dei locali per accoglierci un istante. Il pellegrino è lasciato a se stesso, libero di andare verso la Fede. Il Camino stesso infatti ci invita a fare il primo passo per andare verso il Signore. Siamo allora più responsabili e più coinvolti. Egli è sempre là ad attenderci. Durante il Camino abbiamo imparato a bussare alla sua porta senza timidezza.

Le preghiere quotidiane ci hanno colmato, le testimonianze ci ritornano spesso: noi abbiamo chiesto ed il Signore ci ha dato, abbiamo donato le nostre preghiere ed Egli ha distribuito rispondendo al nostro grido. Ognuno ha ricevuto qualcosa, forse non esattamente come voleva in quel momento, l’importante è aver ricevuto, aver sentito, SAPERE che la sua porta è aperta e credere fermamente che non ci abbandonerà.

Durante il pellegrinaggio le nostre intenzioni erano diverse. Abbiamo pregato per gli ammalati della nostra parrocchia, per alleggerire le loro sofferenze, qualsiasi esse siano, per l’unità della nostra comunità parrocchiale, per le vocazioni sacerdotali della nostra diocesi Belluno-Feltre, e per noi… sono stati gli altri che hanno pregato. Quest’anno infatti sette seminaristi sono entrati in seminario a Belluno.

È importante che i giovani entrino in seminario, che i luoghi di formazione si riempiano. Attraversando i vari paesi, abbiamo capito la deriva delle anime a causa dell’assenza di religiosi. A volte basta anche la loro presenza per rilanciare e avviare un rinnovamento.

Le nostre preghiere continueranno ad essere intense affinché vengano portate a termine queste vocazioni e non manchino sacerdoti, come succede in tanti paesi a noi vicini dove un prete si occupa di 15-19 parrocchie.

Crediamo che sia importante avere una fede costante e perseverante e non intermittente secondo i nostri bisogni o le nostre comodità, poiché questa costanza ci ha avvolto con le sue ali e condotto fino alla fine del nostro pellegrinaggio.

Andando a Roma eravamo sincronizzati con il Signore.
Andando a Torino eravamo in armonia con Lui.
Andando a S. Giacomo eravamo in simbiosi.

Tutto ci sembrava buono e positivo, il buono era migliore e il meno buono si dimenticava e il sapore delle nostre immagini mentali e spirituali respirava la tranquillità, una pace interiore profonda. Arriveremo così ad avere una memoria grata. Questo pellegrinaggio non è stato per noi un pilastro di rinforzo ma una colonna che ha reso più bello il nostro credo.

PREGHIERA DEL CORPO

RALLENTA IL MIO PASSO

Rallenta il mio passo Signore
Calma i battiti del mio cuore
tranquillizzando il mio spirito.

Frena la mia marcia per vedere il tempo infinito.
Donami nella confusione del giorno
la calma delle colline eterne.

Spezza la tensione dei miei nervi con la musica rilassante
dei fiumi, che cantano nei miei ricordi.

Insegnami l’arte di fare delle brevi vacanze
per ammirare un fiore, chiacchierare con un vecchio amico
o farne di nuovi…

Ricordami ogni giorno che la corsa non è sempre frenetica,
che vivere meglio non significa vivere più velocemente.

Incoraggiami a guardare verso gli alti rami della grande quercia
e a ricordarmi che è cresciuta lentamente.

Rallenta i miei passi Signore
e insegnami a piantare le mie radici
in modo profondo nel terreno dei valori
più a lungo della vita affinché cresca
verso le stelle del mio più alto destino.


ok